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Il patto di famiglia (artt. 768bis- 768octies c.c.) è il contratto con cui l’imprenditore individua tra i propri discendenti quelli che ritiene più idonei alla continuazione dell’impresa e trasferisce loro la propria azienda o le proprie partecipazioni sociali.
Con il patto di famiglia, infatti, si vogliono conciliare le esigenze di tutela dei diritti dei legittimari con la necessità, di ordine generale, di agevolare il passaggio generazionale delle medie e piccole imprese. Pertanto le ragioni degli altri soggetti che potrebbero vantare dei diritti sulla successione dell’imprenditore sono fatte salve prevedendo la necessaria partecipazione all’atto di tutti coloro che sarebbero legittimari dell’imprenditore se, al momento della conclusione del patto stesso, si aprisse la successione.
A tali soggetti, gli assegnatari dell’azienda devono corrispondere una somma di denaro pari alla liquidazione della quota
che ad essi spetterebbe in base agli artt. 536 c.c., salvo che vi rinuncino. Tale liquidazione può avvenire anche successivamente ed essere contenuta in un appositi contratto che va dichiarato come collegato al patto.
L’effetto principale del patto è quello di stabilizzare le attribuzioni ricevute dai contraenti che non saranno soggette né a riduzione né a collazione. Inoltre, tale istituto sfugge al divieto di patti successori proprio in virtù della riserva di legge presente ex art. 458 c.c.
Come prevede espressamente l’art. 768ter c.c. per il patto di famiglia la forma richiesta è l’atto pubblico a pena di nullità. L’atto può essere, inoltre, impugnato dai partecipanti per vizi della volontà, ma l’azione di annullamento, ex art. 768 quinquies, comma II, c.c., si prescrive in un anno anziché, come nel regime comune, in cinque.
Si discute se il patto di famiglia sia un contratto bilaterale o plurilaterale. Parte della dottrina ritiene che il patto di famiglia sarebbe un contratto bilaterale che interviene tra disponente ed assegnatario. Secondo tale esegesi, gli altri legittimari sarebbero dei terzi interventori a tutela del proprio interesse, analogamente a quanto accade ex art. 1113 c.c. in caso di divisione tra i creditori e gli aventi causa di partecipazione. Pertanto, per questo orientamento, la locuzione dell’art. 768 quater, comma I, c.c. “devono partecipare” non indica l’obbligo di partecipare per tutti gli aventi diritto a pena di nullità, né l’irricevibilità da parte del notaio, di un atto ove non siano presenti tutti i soggetti citati dalla norma.
La locuzione appena citata, invece, indicherebbe l’onere del disponente e dell’assegnatario di invitare gli altri legittimari.
Altra dottrina maggioritaria, invece, ritiene il patto di famiglia sia un contratto plurilaterale ove la presenza di
tutti i potenziali legittimari alla stipula del patto di famiglia è necessaria a pena di nullità del contratto, per
contrarietà a norma imperativa.
In particolare si ritiene che il patto di famiglia sarebbe un contratto trilaterale in quanto i non assegnatari
costituirebbero una parte plurisoggettiva.
La natura bilaterale o plurilaterale riconosciuta all’istituto, come vedremo qui di seguito, è intimamente
correlato alla causa del patto di famiglia.
Differenze con la donazione
Patto di famiglia e donazione hanno certamente cause tipiche diverse.
La causa tipica della donazione è sicuramente la liberalità. L’art 769 c.c. prevede espressamente che la donazione si fa “per spirito di liberalità”, cioè per arricchire il donatario senza ricevere niente in cambio: spirito di liberalità e arricchimento del donatario sono la funzione sociale che caratterizza questo contratto.
L’affermazione della necessità di andare oltre alla mera causa come funzione economico sociale del contratto, impone di dover cogliere nel concreto la ragione giustificativa della donazione. Ed è proprio in tale ambito che la funzione del patto di famiglia e quella della donazione possono apparire tanto simili.
La donazione, difatti può esplicarsi sia su ragioni di benevolenza disinteressata, sia in riferimento o a un preciso interesse del donante (come ad esempio le donazioni a scopo promozionale), o alla particolare circostanza con cui la donazione viene fatta (si pensi alla donazione obnunziale in vista del matrimonio) o a determinati rapporti esistenti tra donante e donatario (si pensi alla donazione remuneratoria fatta per stima e gratitudine).
Anche la donazione è un contratto altamente formale che richiede la forma dell’atto pubblico con l’assistenza di due testimoni. La donazione può anche essere c.d. modale quando è previsto un onere/modus a carico del donatario. L‘onere limita l’arricchimento del donatario imponendogli qualche prestazione di regola connessa al bene donato. Ne nasce una vera obbligazione a carico del donatario che è tenuto all’adempimento entro i limiti del valore della cosa donata. Ciò significa che l’onere può assorbire anche l’intero valore economico della donazione ma anche in questo caso estremo l’onere non diventerà mai “corrispettivo” dell’attribuzione fatta al donatario, e la donazione non si trasforma in contratto di scambio né muta il proprio titolo da contratto a titolo gratuito a titolo oneroso.
Esistono poi ex art. 809 c.c. le c.d. donazioni indirette o liberalità non donative cioè liberalità non derivanti da un atto di donazione. Rispetto al patto di famiglia, come già accennato, la causa del contratto viene diversamente esplicata a seconda che si acceda alla tesi che riconosce all’istituto natura bilaterale o plurilaterale.
La dottrina favorevole alla natura bilaterale del patto di famiglia ritiene infatti che lo stesso sia una donazione con onere di liquidazione dei diritti di legittima ai non assegnatari.
Per altra parte della dottrina è un contratto tipico a causa complessa che deriva dalla combinazione dell’assegnazione e della liquidazione. Sarebbe dunque una liberalità, completamente diversa dalla donazione. Ciò sia in virtù della causa tipica diversa, che perché mentre l’onere è un elemento accidentale del contratto dà luogo ad una obbligazione, la liquidazione dei legittimari è un elemento necessario del patto di famiglia.
Infine, la tesi che ritiene che il patto di famiglia sia un contratto bilaterale ove i non assegnatari sono parti necessarie del contratto, reputa che il patto di famiglia non sia una donazione ma una liberalità non donativa tipica a cui si applicherebbero le norme sostanziali in materia di donazione quanto compatibili.