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Il pignoramento è l’atto attraverso il quale l’ufficiale giudiziario ingiunge al debitore di astenersi dal compiere qualsiasi azione diretta a sottrarre alla garanzia del credito esattamente indicato i beni che si assoggettano alla esecuzione, compresi i frutti di essi. In sostanza, rappresenta l’avvio in concreto della procedura esecutiva. La legge prevede e concede al creditore diverse forme di pignoramento. Tra di essi, certamente la forma più valida di espropriazione forzata per conseguire il proprio diritto di credito è data dal pignoramento dello stipendio. Vediamo di seguito come funziona e quali sono i limiti entro cui può operare.
Il pignoramento dello stipendio rientra nell’ambito dei pignoramenti presso terzi, vale a dire un tipo di espropriazione forzata che non aggredisce i beni che si trovano nella disponibilità del debitore, bensì nella disponibilità di altri soggetti, ossia di terzi, nei confronti dei quali il debitore stesso vanta dei crediti. Si tratta dunque di soggetti che a loro volta hanno un debito nei confronti del debitore stesso.
Lo stipendio rappresenta un credito che il lavoratore vanta nei confronti del datore di lavoro. Pignorando lo stipendio, quindi, il creditore cerca di ottenere la somma a suo credito, aggredendo appunto lo stipendio del debitore: ci troviamo nella fase esecutiva del processo, vale a dire nella fase in cui il creditore vede soddisfatto il proprio interesse, rappresentato dall’esecuzione della prestazione da parte del debitore. In questa fase, quindi, attraverso il pignoramento, si pone un vincolo di indisponibilità sui beni del debitore: in sostanza si dice al debitore che non potrà utilizzare quei beni, in quanto destinati a soddisfare l’interesse del creditore e quindi ad estinguere il suo debito.
È bene chiarire che, per procedere con l’esecuzione tramite il pignoramento dello stipendio il creditore deve essere in possesso di un titolo esecutivo per un diritto certo, liquido ed esigibile. Sono titoli esecutivi, tra gli altri: le sentenze, decreti ingiuntivi e le scritture private autenticate, le cambiali, gli assegni e gli altri titoli di credito ai quali la legge attribuisce espressamente tale efficacia, gli atti ricevuti da notaio o altro pubblico ufficiale autorizzato a riceverli (per lo più titoli esecutivi stragiudiziali).
Il creditore in possesso del titolo esecutivo, notificato al debitore il titolo medesimo e l’atto di precetto, dovrà successivamente notificare ancora al debitore, ed in aggiunta al suo datore di lavoro, l’atto di pignoramento. Pertanto la procedura individua 3 soggetti: il creditore procedente, il debitore esecutato ed il terzo pignorato (datore di lavoro). Da questo momento, cioè dalla data di notifica del pignoramento, il debitore dovrà astenersi dal disporre delle somme pignorate, ma soprattutto il datore di lavoro sarà soggetto agli stessi obblighi (e relativa responsabilità) del custode.
Ecco cosa succede dunque attraverso il pignoramento dello stipendio: Tizio (debitore), condannato al pagamento di una certa somma di denaro nei confronti di Caio (creditore), vede vincolata una parte del proprio stipendio, la quale dovrà essere necessariamente destinata al pagamento del suo debito. Il creditore si rivolge quindi direttamente al datore di lavoro per richiedere una parte dello stipendio dal lavoratore, che sarà dunque a lui destinata al fine di estinguere il debito.
La legge pone tuttavia dei limiti al pignoramento dello stipendio, vietando appunto che il pignoramento colpisca l’intero stipendio del lavoratore.
Ciò in quanto il soggetto sarebbe così privato dei mezzi di sostentamento, mettendo a rischio non solo la sopravvivenza dello stesso, ma anche quella dei propri familiari, compromettendo inoltre gravemente la dignità del debitore.
I limiti di cui si discute sono stati modificati dal legislatore nel 2015 e si applicano a tutte le procedure esecutive che siano iniziate successivamente alla data di entrata in vigore della nuova normativa, ossia dal 27 giugno 2015.
Proprio in quanto è necessario garantire al soggetto un sostentamento minimo, la legge prende quale riferimento l’importo dell’assegno sociale, vale a dire quella somma di denaro erogata dall’Istituto nazionale di previdenza sociale (Inps) con finalità assistenziale, per garantire un aiuto economico a coloro che si trovino in condizioni disagiate.
Per l’anno 2020 l’importo dell’assegno sociale è pari a 459,83 euro, quindi partiamo da tale somma per capire quali limiti pone la legge alla pignorabilità dello stipendio.
Il limite generale di pignoramento delle somme dovute a titolo di stipendio, salario o di altre indennità relative al rapporto di impiego, previsto dalla legge, è dato dalla misura massima di 1/5. Tuttavia i limiti possono variare, e ciò in base al terzo pignorato ed ai tempi di accredito dello stipendio.
Il pignoramento, difatti, può essere notificato o direttamente nei confronti del datore di lavoro oppure presso la banca sul quale viene accreditato lo stipendio stesso.
Più precisamente:
- Pignoramento presso il datore di lavoro:In questo caso avrà applicazione il limite di 1/5. Supponendo, quindi, che il debitore percepisca una retribuzione mensile pari ad euro 1,000,00, il pignoramento potrà avvenire nella misura di 1/5 dello stesso ovvero per euro 200,00. È chiaro che, a questo punto, lo stipendio subirà mensilmente tale decurtazione fino a concorrenza ed estinzione della somma dovuta e delle spese sostenute dal creditore;
- Pignoramento presso la banca su cui viene accreditato lo stipendio:In questo caso occorre distinguere il momento del pignoramento, se avvenuto prima dell’accredito dello stipendio o successivamente:
- a)se l’accredito dello stipendio sul conto corrente o postale è effettuato prima del pignoramento, si può pignorare esclusivamente l’importo che eccede il triplo dell’assegno sociale, quindi ciò significa che il pignoramento potrà avere ad oggetto solo ciò che resta dello stipendio, togliendo da questo il triplo dell’assegno sociale.
Per fare un esempio pratico: se lo stipendio è pari a 1500 euro, da tale somma bisogna togliere il triplo dell’assegno sociale, ossia 1344,21 euro (448,07X3), quindi la differenza, pari a 155,79 euro (1500-1344,21), potrà essere sottoposta a pignoramento. Se lo stipendio del debitore è invece al di sotto del triplo dell’assegno sociale, quindi è inferiore a 1344,21 euro, non può essere sottoposto a pignoramento, in quanto lo stesso sarebbe privato dei mezzi di sostentamento minimi che la legge vuole invece garantire;
- b)se l’accredito dello stipendio avviene alla data del pignoramento o successivamente, non si fa invece riferimento all’assegno sociale e la regola generale è che la somma pignorata non può essere superiore a 1/5dello stipendio e questo vale anche nel caso in cui il debito si riferisca a tributi dovuti allo Stato, alle province o ai comuni.
Se poi si tratta di crediti alimentari, si fa riferimento alla somma autorizzata dal presidente del tribunale o da un giudice dallo stesso delegato; se invece il pignoramento si riferisce a crediti di diversa natura, ad esempio alimentari e tributari insieme, allora lo stesso non può essere superiore alla metà dello stipendio.
Qualora il creditore sia l’Agenzia delle Entrate (per tributi e tasse varie, oneri previdenziali) i limiti del pignoramento sono fissati dal D.p.r. n.602/1973.
Pertanto, la retribuzione del lavoratore potrà essere pignorata nelle seguenti misure: in misura pari a 1/10 per importi fino a 2.500 euro; in misura pari a 1/7 per importi superiori a 2.500 euro e non superiori a 5.000 euro; nei limiti ordinari previsti dal codice di rito (1/5) per importi superiori a 5.000 euro.
Quando un soggetto è debitore per più debiti, occorre distinguere la natura degli stessi, e cioè se provengono dalla medesima causa (es. tributi) o hanno cause multiple (per tributi, alimenti, crediti privati). Nel primo caso, si applica la regola generale del limite di un quinto, e i creditori saranno soddisfatti secondo un criterio progressivo, ossia in base all’ordine di arrivo, dunque chi ha eseguito per primo il pignoramento, poi il secondo e così via.
Nelle ipotesi di cause multiple, invece, il limite di 1/5 può essere superato, ma non potrà superare la misura massima della metà dello stipendio.
Quando la misura dello stipendio sia bassa (si pensi, ad esempio, nei casi di lavoro part-time), si applica il limite di 1/5. È quanto chiarito dalla Corte Costituzionale, la quale investita della questione relativa se sia applicabile in tali casi del limite previsto per gli agenti della riscossione, di cui all’art. 72ter del D.p.r. 602/73, (ovvero se, trattandosi di importi inferiori ad euro 2.500,00 mensili, sia il limite di 1/10), ha escluso l’estensione del limite stesso nei casi di stipendi bassi, che restano così privi di una tutela sostanziale.
Se il pignoramento è effettuato senza rispettare i limiti sopra descritti, esso è considerato dalla legge parzialmente inefficace: ciò significa che, per la somma eccedente le soglie imposte dalla legge, esso si
considera come non effettuato e quindi il pignoramento avrà ad oggetto esclusivamente quella somma che rispetta le soglie fissate dal legislatore. Tale inefficacia potrà essere rilevata anche d’ufficio dal giudice.