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Vendita con patto di riscatto
Sebbene quando si parli di compravendita si faccia riferimento a quel tipico contratto che consente il trasferimento della proprietà da un soggetto ad un altro, la legge italiana prevede un’ipotesi in cui il venditore può tornare in possesso del bene alienato. Questa facoltà si realizza grazie al diritto di riscatto, disciplinato dall’art. 1500 del codice civile. L’art. 1500 del codice civile si basa su una ratio legis specifica, che si contrappone radicalmente alla funzione della compravendita ordinaria, per mezzo della quale l’acquirente entra in possesso di un bene dietro il pagamento di un prezzo stabilito al fine di poterne disporre liberamente. Nel caso di vendita con patto di riscatto, al contrario, viene posta una condizione risolutiva potestativa al contratto, che permette al venditore di poter riacquistare il bene alienato in precedenza. Potestativa perché dipende unicamente dalla volontà dell’alienante, non dell’acquirente. Ma qual è la vera funzione di questo istituto? Perché la legge italiana dovrebbe disporre una facoltà simile al venditore?
La vendita con diritto di riscatto è spesso esercitata dal venditore quando questi si trova in una condizione economica precaria e decida di alienare il bene per reperire una quantità di denaro sufficiente a sopperire alle proprie esigenze temporanee. Questo istituto perciò si basa sul presupposto che il venditore si trovi in una situazione di difficoltà economica temporanea. Per questo motivo è offerta la possibilità al soggetto in questione di apporre una condizione di questo tipo al fine di poter riacquistare il bene, alienato per motivi di urgenza, che altrimenti non sarebbe mai uscito dal patrimonio del venditore.
Il primo comma dell’art. 1500 illustra con estrema chiarezza questo concetto, mentre al comma 2 viene posta una tutela in favore del venditore, il quale non dovrà versare un prezzo superiore a quello stipulato per la vendita: sorge quindi un divieto in capo all’acquirente di approfittarsi del momento di difficoltà economica dell’alienante, per poter trarre un guadagno maggiore di quello pattuito. In questo caso il sovrapprezzo richiesto risulterà nullo e non dovuto dal venditore stesso. Un esempio tipico di utilizzo di questo strumento legale può risultare dall’acquisto di un immobile con diritto di riscatto. Il venditore si trova costretto a vendere un determinato bene immobile (ad esempio un locale commerciale o un appartamento ad uso abitativo) per fronteggiare le proprie difficoltà economiche, inserendo tuttavia il diritto di riscatto come clausola nel contratto di vendita. Al termine del periodo di difficoltà economica (che non può essere superiore a cinque anni nel caso di beni immobili) egli può riscattare la proprietà dell’immobile, ceduta al tempo all’acquirente, dietro il pagamento di un prezzo stabilito al momento della prima vendita.
La disciplina della vendita con patto di riscatto è ampiamente illustrata nel codice civile, oltre che essere oggetto di diversi dibattiti dottrinali e giurisprudenziali. L’art. 1502 completa il quadro generale illustrato con l’art. 1500 del codice civile, stabilendo gli obblighi del riscattante (o dell’alienante). Il venditore in primis deve inserire tale condizione risolutiva potestativa all’atto di vendita; oppure è possibile porre tale clausola in un momento successivo, dietro il consenso dell’acquirente, trasformando la compravendita, da pura e semplice, a risolvibile.
Il termine entro cui il venditore può riscattare la proprietà del bene alienato (art. 1501) è di due anni per i beni mobili e cinque anni per quelli immobili. Al momento del riscatto, l’alienante deve necessariamente ripetere il prezzo di vendita in favore dell’acquirente, oltre che pagare le spese accessorie e di manutenzione utili e necessarie.
L’art. 1502 illustra chiaramente come l’acquirente è tenuto a ritenere il bene fino al rimborso integrale del prezzo e delle spese. Non solo: le spese necessarie devono essere rimborsate per intero e nell’immediato all’acquirente, mentre per le spese utili il giudice può prevedere una dilazione di pagamento, dietro delle comprovate esigenze e garanzie. Tale orientamento è stato confermato in passato dalla Corte di Cassazione con la sentenza n. 1332/1983: la suprema corte in questa occasione ha ribadito come nell’ipotesi di vendita con patto di riscatto l’alienante non può trarre profitto da tale condizione risolutiva; non deve essere consentito un indebito arricchimento del venditore mediante il semplice pagamento dello stesso prezzo di vendita, nonostante l’incremento di valore apportato con gli esborsi del compratore o il perfetto mantenimento grazie alla manutenzione dovuta.
Gli articoli 1503 e seguenti del codice civile indicano le modalità di esercizio del diritto di riscatto. Non è sufficiente la dichiarazione di voler riscattare la proprietà per esercitare tale facoltà, bensì bisogna procedere all’effettiva liquidazione delle somme dovute a favore dell’acquirente. Tuttavia bisogna compiere una piccola precisazione: se l’oggetto della compravendita è un bene immobile, la dichiarazione di riscatto deve essere fatta per iscritto, pena la nullità.
Ma cosa accade se l’acquirente aliena a sua volta il bene del venditore? Anche in questo caso l’alienante può usufruire del diritto di riscatto purché tale clausola sia opponibile ai terzi. Ciò comporta che in caso di acquisto con patto di riscatto di un bene immobile, ad esempio, qualora venga ceduto successivamente a terzi, questo possa essere riscattato dal venditore anche nei confronti di terzi, ai sensi dell’art. 2653. La vendita con patto di riscatto può risultare nulla o viziata qualora ricorrano determinate condizioni. Come detto già in precedenza, qualora il compratore chieda all’alienante un prezzo maggiore rispetto a quello pattuito e dovuto per il riscatto della proprietà, questo “sovrapprezzo” risulta nullo e dovuto.
Ma quando si parla di nullità generale della vendita con patto di riscatto si fa riferimento ad un’altra ipotesi: il contratto diviene nullo se il fine è quello di garantire un credito. Cosa si intende con ciò? Che il versamento del prezzo non deve rappresentare l’adempimento di un mutuo ed il trasferimento del bene non deve essere qualificato di conseguenza come una garanzia transitoria del contratto. È la stessa Corte di Cassazione a ribadire tale concetto con la sentenza n. 23670/2015: “una vendita con patto di riscatto è nulla se il versamento del denaro da parte del compratore non costituisca il pagamento del prezzo, ma l’adempimento di un mutuo, ed il trasferimento del bene serva solo a porre in essere una transitoria situazione di garanzia, destinata a venir meno, con effetti diversi a seconda che il debitore adempia o non l’obbligo di restituire le somme ricevute, atteso che una siffatta vendita, pur non integrando direttamente un patto commissorio, costituisce un mezzo per eludere il divieto posto dall’articolo 2744 cod. civ., e la sua causa illecita ne determina l’invalidità ai sensi degli articoli 1343 e 1418 cod. civ”. Il rischio perciò consiste nella possibilità che un utilizzo improprio del patto di riscatto costituisca un’elusione del divieto di patto commissorio, disciplinato all’art. 2744 del codice civile.