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Il fondo patrimoniale è uno strumento attraverso il quale i coniugi, e ora anche i componenti dell’unione civile omosessuale, vincolano determinati beni destinandoli ai bisogni della famiglia. Il fondo patrimoniale si costituisce su iniziativa degli interessati. I coniugi, e ora anche i componenti dell’unione civile omosessuale, in particolare, possono creare un patrimonio separato che abbia come specifica destinazione la finalità di far fronte ai bisogni della famiglia (art. 167 c.c.). Anche un terzo può costituire un fondo patrimoniale con tale destinazione, sia per atto tra vivi che per testamento. La costituzione del fondo si effettua mediante atto pubblico a cui partecipano i coniugi ed eventualmente il terzo che conferisce il bene. In quest’ultimo caso la costituzione del fondo si perfeziona solo con l’accettazione dei beneficiari. I beni che possono essere destinati al fondo sono beni immobili o mobili registrati oppure titoli di credito. Su tali beni possono essere conferiti diritti di proprietà o di godimento. Per quanto riguarda il regime di pubblicità del fondo, questo deve essere annotato a margine dell’atto di matrimonio e/o trascritto nei registri immobiliari e dei beni mobili registrati. La mancata annotazione comporta l’inopponibilità’ del fondo ai creditori. I coniugi sono comproprietari dei beni del fondo e ne mantengono la gestione, regolata dalle norme in tema di comunione legale. I frutti devono essere destinati ai bisogni della famiglia. I beni del fondo, inoltre, non possono essere alienati, ipotecati o dati in pegno se non con il consenso dell’altro coniuge, a meno che tale facoltà non sia stata espressamente prevista. In presenza di figli minori è necessaria anche l’autorizzazione del Tribunale che la concederà in caso di necessità o utilità evidente (art. 169 c.c.).
L’amministrazione del fondo, come detto, segue le regole della comunione legale benché, ad ogni modo, sia necessario distinguere tra gli atti di ordinaria amministrazione, per i quali i coniugi possono agire anche disgiuntamente e atti di straordinaria amministrazione per i quali è necessario che i coniugi agiscano congiuntamente. Se i coniugi sono in disaccordo su atti di amministrazione che richiedono un comune assenso e, dunque, uno di essi nega il proprio consenso al compimento di un atto di straordinaria amministrazione l’altro coniuge può ottenere dal Giudice l’autorizzazione a compiere l’atto, previa dimostrazione che questo risponde agli interessi della famiglia. Riguardo i frutti, questi possono essere utilizzati solo per i bisogni della famiglia e la vendita dei beni che fanno parte del fondo non può essere fatta se non con il consenso di entrambi i coniugi. Nel caso in cui vi siano dei figli è necessaria anche l’autorizzazione del Tribunale.
Il principale beneficio che si può conseguire attraverso la costituzione del fondo patrimoniale è che i beni che ne fanno parte non possono essere soggetti a esecuzione forzata per debiti che il creditore sapeva essere stati contratti per scopi estranei ai bisogni della famiglia (sul punto, tuttavia, cfr. paragrafo 6 del presente articolo sulla riforma intervenuta, sul punto, nel 2015) Per quanto riguarda – invece – gli svantaggi essi consistono, in primo luogo, nella circostanza per cui, qualora un credito sia sorto prima della costituzione del fondo patrimoniale, il creditore ha la possibilità di tutelarsi proponendo l’azione revocatoria ex art. 2901 c.c. Il creditore, in tal caso, dovrà dimostrare che il fondo è stato costituito arrecando pregiudizio alle sue ragioni. Egli dovrà anche dimostrare che chi ha costituito il fondo patrimoniale fosse consapevole del pregiudizio che l’atto arrecava alle ragioni del creditore. Se poi il fondo è stato costituito in epoca anteriore al sorgere del credito la revocatoria diventa possibile solo se si dimostra che l’atto fosse dolosamente preordinato al fine di pregiudicarne il soddisfacimento.Un ulteriore svantaggio può essere rappresentato dai costi che è necessario sopportare per la costituzione del fondo, legati soprattutto alle spese notarili e alla necessità di onorare la tassazione vigente che è la stessa applicabile agli atti di successione e donazione.
I beni costituenti il fondo patrimoniale rimangono separati da quelli del patrimonio personale dei coniugi. In tal modo, si determina una limitazione di responsabilità poiché questi possono essere aggrediti solo per debiti derivanti da obbligazioni contratte nell’interesse della famiglia (art. 170 c.c.). La norma costituisce una deroga alla normale responsabilità per debiti ex art. 2740 c.c. Il limite all’inespropriabilità opera solo se il creditore sapeva che l’obbligazione contratta era estranea ai bisogni della famiglia, ma l’onere probatorio di tale conoscenza rimane a carico del debitore che si oppone all’esecuzione del bene. Al fine di contestare il diritto del creditore di agire esecutivamente, il debitore opponente deve provare la regolare costituzione del fondo patrimoniale, la sua opponibilità nei confronti del creditore pignorante, e che il debito per cui si procede è stato contratto per scopi estranei ai bisogni della famiglia. Inoltre, sul debitore grava anche l’onere di provare la conoscenza di tale estraneità in capo al creditore. Si tratta di un principio affermato dalla Corte di Cassazione già da lungo tempo (Cass. Civ. n. 5684/06) e ribadito recentemente con la sentenza n. 15886/2014. La prova, sulla base dei principi generali, può` essere fornita anche avvalendosi di presunzioni. Quanto al criterio per identificare la natura dei crediti che, essendo stati contratti per fare fronte ai bisogni della famiglia, possono essere soddisfatti anche in via esecutiva, la Cassazione ha affermato il principio di diritto secondo il quale la nozione di debiti contratti nell’interesse della famiglia va intesa non in senso restrittivo, vale a dire con riferimento alla necessità di soddisfare l’indispensabile per l’esistenza della famiglia. Occorre – infatti – ricomprendere in tali bisogni anche quelle esigenze volte al pieno mantenimento ed all’armonico sviluppo della famiglia, o al potenziamento della capacità lavorativa dei coniugi, restando escluse solo le esigenze voluttuarie o meramente speculative (cfr. Cass. Civ. n. 12730/07, Cass. Civ. n. 15862/09 e Cass. Civ. n. 4011/13). Si e`- quindi – preferita una nozione di bisogni della famiglia piuttosto ampia, per la quale si esclude che bisogni rilevanti siano soltanto quelli essenziali del nucleo familiare. Sono ricompresi anche i bisogni ritenuti tali dai coniugi in ragione dell’indirizzo della vita familiare e del tenore scelto, in conseguenza delle possibilità` economiche. Non è pacifico se possano essere ricondotti ai bisogni della famiglia i debiti derivanti dall’attività professionale o di impresa di uno dei coniugi, ma in giurisprudenza si ritiene che l’indagine del giudice deve avere ad oggetto specificamente il fatto generatore dell’obbligazione, a prescindere dalla natura di questa.
La Cassazione si è recentemente pronunciata sulla possibilità per l’Agente della Riscossione di iscrivere ipoteca sui beni del fondo matrimoniale. Con la sentenza n. 3600/2016, la Suprema Corte ha esaminato la legittimità dell’azione esecutiva avviata da Equitalia su un immobile facente parte di un fondo, sul quale era altresì stata iscritta ipoteca legale. Secondo l’ente non era preclusa al creditore, in applicazione dell’art. 170 c.c., la possibilità di procedere a iscrizione ipotecaria, poiché l’espropriazione è cosa diversa dalla facoltà di iscrivere ipoteca. Secondo i giudici della Suprema Corte, la norma di cui all’art. 170 c.c. si occupa sia della possibilità dell’esecuzione, sia dell’iscrizione di ipoteca, su beni e sui frutti del fondo. Essa esclude non in modo assoluto l’esecuzione, ma solo nel caso in cui la situazione debitoria per cui si procede esecutivamente sia insorta “per scopi estranei ai bisogni della famiglia” e conosciuta dal creditore come tale. La Corte ha ribadito che, in tema di fondo patrimoniale, il criterio identificativo dei debiti per i quali può avere luogo l’esecuzione sui beni del fondo, va ricercato non nella natura dell’obbligazione, contrattuale o extracontrattuale, ma nella relazione tra il fatto generatore di essa e i bisogni della famiglia, sicché anche un debito di natura tributaria sorto per l’esercizio dell’attività imprenditoriale, potrebbe ritenersi contratto per soddisfare tale finalità (cfr. Cass. Civ. n. 3738/2015). A distanza di pochi mesi, la stessa sezione della Cassazione ha emanato una pronuncia di senso contrario, ammettendo la possibilità per l’Agente della Riscossione di procedere all’iscrizione ipotecaria sull’immobile del contribuente costituito in fondo patrimoniale. Il ricorso di quest’ultimo si è basato sulla considerazione per cui l’art. 170 c.c. fa riferimento soltanto a procedure di tipo esecutivo e non cautelari, come può essere qualificata l’iscrizione ipotecaria, che può essere solo preparatoria a un’eventuale ma non sicura fase esecutiva. Con questa sentenza, la Corte, andando contro il precedente orientamento, ha precisato che l’ipoteca ex art. 77 D.P.R. n. 602/1973, non ha natura di atto funzionale all’esecuzione forzata, con la conseguenza che non è possibile classificare l’iscrizione come atto di esecuzione. Per rafforzare tale interpretazione, la Corte di Cassazione ha richiamato una sentenza di legittimità resa a Sezioni Unite (cfr. Cass. Civ. S.U. n. 19667/14), con la quale si è escluso che l’iscrizione ipotecaria ex art. 77 D.P.R. sia da considerare atto di espropriazione forzata, dovendo – piuttosto – la stessa essere considerata “un atto riferito ad una procedura alternativa all’esecuzione forzata vera e propria”.
Infine, va detto che l’azione revocatoria finalizzata alla dichiarazione d’inefficacia del fondo patrimoniale in quanto atto pregiudizievole al creditore è soggetta al termine breve di prescrizione di cinque anni dalla data dell’atto, ai sensi dell’art. 2903 c.c. Sulla formulazione letterale della norma, quando ci si riferisce alla data dell’atto, si sono susseguite numerose pronunce giurisprudenziali anche contrastanti tra loro. La Corte di Cassazione – con sentenza n. 5889/16 – ha confermato l’inconsistenza della tesi secondo cui l’intento di pregiudicare le ragioni del creditore deve essere rapportato non alla data di annotazione dell’atto di costituzione del fondo patrimoniale, ma a quella della sua effettiva stipulazione. Nel caso di costituzione di fondo patrimoniale tra coniugi, pertanto, “l’azione revocatoria si prescrive nel termine di cinque anni decorrenti dal giorno in cui l’atto è opponibile ai terzi, e non dalla data della stipula della convenzione, perché solo da quel momento il diritto può essere fatto valere” (cfr. Cass. Civ. sentenza n.5889/16). Richiamando la propria decisione resa a Sezioni Unite n. 21658/09, la Corte di Cassazione ha ribadito che la costituzione del fondo è soggetta, inoltre, alle disposizioni relative alle convenzioni matrimoniali ex art. 162 c.c., le quali sono opponibili ai terzi dopo l’annotazione a margine dell’atto di matrimonio. La trascrizione dell’atto nei pubblici registri immobiliari, ai sensi dell’art. 2647 c.c., rileva come mera pubblicità – notizia e non compensa il difetto di annotazione nei registri dello stato civile, che non ammette deroghe, restando irrilevante la conoscenza che i terzi abbiano acquisito altrimenti della costituzione del fondo (si veda anche Cass. Civ. n. 27854/13).
L’effetto del fondo patrimoniale cessa quando si estingue il vincolo coniugale (art. 171 c.c.). Se ci sono figli minori, il vincolo del fondo rimane fino a che questi non abbiano raggiunto la maggiore età. In questo caso il Tribunale potrà affidare l’amministrazione dei beni del fondo al genitore affidatario o a un terzo, oppure assegnare in proprietà o in godimento direttamente ai figli una quota dei beni.
Si discute se sia ammissibile lo scioglimento consensuale del fondo patrimoniale, poiché le cause di scioglimento sarebbero tassativamente individuate dal legislatore in quelle che portano al dissolvimento del matrimonio. La recente pronuncia n. 17811/2014 della Corte di Cassazione è intervenuta a dirimere un contrasto che si era creato sia in dottrina che nella giurisprudenza di merito. La Corte ha precisato che le cause di scioglimento di cui all’art. 171 c.c. non possono considerarsi tassative e pertanto, in mancanza di figli, lo scioglimento del fondo patrimoniale può intervenire anche sulla base del solo consenso dei coniugi. In presenza di figli, invece, non è ammesso lo scioglimento consensuale. L’istituzione del fondo patrimoniale, infatti, determina un vincolo di destinazione per il soddisfacimento dei bisogni della famiglia, tra cui vanno ricompresi anche i figli minori che sono i componenti deboli della famiglia. Conseguentemente, avendo interesse alla conservazione della consistenza patrimoniale del fondo, per lo scioglimento, in tali casi, è necessario il consenso dei figli minori, rappresentati da un curatore speciale autorizzato dal Tribunale, che tuteli la loro posizione nell’ipotetico conflitto di interesse derivante dalla disposizione sui beni del fondo. Tale disciplina può estendersi anche ai figli nascituri.
La riforma del disciplina del fondo patrimoniale operata nel 2015 ha comportato quindi una prima sostanziale demolizione delle garanzie che potevano indurre i coniugi a sopportare gli oneri legati alla sua costituzione. Nonostante il tentativo, operato sul piano giurisprudenziale, di lasciare un minimo ambito di operatività al fondo patrimoniale, affermando che questo resta inattaccabile solo per quei debiti contratti per esigenze di natura voluttuaria come potrebbe essere un viaggio vacanza, o caratterizzati da intenti speculativi come un investimento mal riuscito, oggi, l’attrattiva dell’istituto, oggi, comparando costi e benefici, appare grandemente scemata.