DDL ZAN, i possibili motivi della divisività di pensiero

Il DDL Zan, che prende il nome dal primo deputato firmatario, è un disegno di legge che se approvato andrebbe a modificare alcuni articoli del Codice Penale. Sebbene consti di pochi e brevi articoli, in questa sede non pare opportuno riportarne la lettera, basti solo chiarire che la novità più importante sarebbe quella di andare ad operare rispetto alla configurazione del reato di propaganda e istigazione a delinquere per motivi di discriminazione razziale etnica e religios adi cui all’art. 604 bis cod. pen. E sulle circostanze aggravanti speciali dello stesso ex 604 ter cod. pen.

 

Sebbene il DDL sia stato già stato approvato alla Camera, non è ancora stato discusso in aula a causa di numerosi rinvii sulla calendarizzazione.

 

Ciò posto, è necessario specificare che il DDL Zan individua una serie di “misure di prevenzione e contrasto della discriminazione e della violenza per motivi fondati sul sesso, sul genere, sull’orientamento sessuale, sull’identità di genere e sulla disabilità“, siffatto mutamento sarebbe – secondo alcuni – necessario soprattutto a fronte dei numerosi episodi di odio e violenza di genere che stanno imperversando nel Paese.

 

Al momento le sanzioni penali previste per i due articoli succitati prevedono la reclusione fino ad 1 anno e 6 mesi ed una multa fino ad euro 6.000,00. Con la introduzione della modifica in epigrafe le sanzioni resterebbero immutate ma si avrebbe la scissione del 604 bis cod. pen. Tale da prevedere in astratto ben due fattispecie di reato, riportate di seguito:

 

art. 604 lett. A) che punisce con la medesima pena già prevista (reclusione fino ad 1 anno e 6 mesi ed una multa fino ad euro 6.000,00) chiunque istiga a commettere ovvero commette atti di discriminazione fondati “sul sesso, sul genere, sull’orientamento sessuale, sull’identità di genere e sulla disabilità”;

art. 604 lett. B) che punisce con la reclusione (già prevista dal testo originario) da mesi 6 mesi a 4 anni chiunque in qualsiasi modo istiga a commettere o commette violenza o atti di provocazione alla violenza per motivi fondati “sul sesso, sul genere, sull’orientamento sessuale, sull’identità di genere e sulla disabilità”;

Sostanzialmente ciò che propone il DDL in esame è quello di inserire all’interno del dettato della disposizione del 604 bis e 604 ter cod. pen. La punizione non solo per le condotte di colui che istiga a commettere, commette egli stesso violenza ovvero discrimina altro soggetto per motivi di razza, etnia e religione (formulazione vigente dell’art. 604 bis cod. pen.) ma anche per chi commette questi stessi atti per motivi attinenti, appunto, il sesso, genere e identità di genere, orientamento sessuale, e disabilità.

 

Orbene, prescindendo da considerazioni ideologiche e personali, è utile comprendere perché il DDL Zan sia in concreto così divisivo.

 

La principale preoccupazione è generata dalla incertezza derivante dall’introduzione di siffatte nuove fattispecie incriminatrici.

 

Invero il primo problema, sarebbe quello di assumere nel mondo fenomenico cosa la nozione di discriminazione penalmente rilevante, e consequenzialmente di differenziarla dalla condizione penalizzante per la vittima del reato de quo che rientri nel principio della libertà di pensiero del singolo. Si comprende che il problema non pare di facile soluzione.

 

In secondo luogo ci sarebbe il problema rispetto al principio di offensività, cui può essere sintetizzato con il noto Broccardo “nullum crimen sine iniuria”; infatti tale criticità si traduce nella difficile integrazione in concreto dei reati di opinione, vale a dire tutti quei reati che condannano una determinata manifestazione di pensiero (ad esempio quelli contro la personalità dello Stato, come la propaganda e apologia sovversiva o antinazionale di cui all’art. 272 cod. pen.).

 

Dunque a tal proposito non può non essere evidenziato come la norma di cui al 604 bis cod. pen. Attraverso la clausola di sussidiarietà in apertura “salvo che il fatto non costituisca più grave reato” è assorbita nel reato di istigazione a delinquere ex 414 cod. pen., ed è già destinata a punire tutti quei fatti che per loro natura non possono essere integrati in altre fattispecie delittuose più gravi.

 

A tal proposito, per dissipare tale preoccupazione, il DDL Zan si compone altresì di una c.d. clausola di salvaguardia a tutela della libertà di manifestazione di pensiero (limite e parametro al quale devono sottostare i c.d. reati di opinione), di talché all’art. 4 viene stabilito che “ai fini della presente legge sono fatte salve la libera espressione di convincimenti od opinioni nonché le condotte legittime riconducibili al pluralismo delle idee o alla li- bertà delle scelte, purché non idonee a de- terminare il concreto pericolo del compi- mento di atti discriminatori o violenti”.

 

Dunque attesa l’esistenza di una prevedibile compromissione della libertà di pensiero, c’è da chiedersi come e perché il Legislatore possa fare salva tale facoltà, essendo la stessa già ampliamente contenuta e tutelata in un apposito precetto costituzionale, vale a dire quello di cui all’art. 21 Cost.

 

Ancora, la stessa disposizione di cui all’art. 21 Cost., considerato pilastro di uno Stato democratico che ha come base il pluralismo ideologico, assicura la formazione di un convincimento personale da parte ogni persona (che non per forza deve essere conforme a quello di un altro soggetto ovvero della comunità) ed anche di una opinione pubblica libera e criticamente fondata, ad eccezione di quelle idee che – come già previsto da norme specifiche – possano incitare all’odio o alla violenza e possono determinare, sulla base dei principi fondanti del diritto penale, una offesa al decoro, all’onore dei soggetti interessati, ovvero che possano affermarsi in atti di vera e propria violenza (anche questi già disciplinati dal codice di rito).eeeee