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Con ordinanza n°11553/2018 la Corte di Cassazione ha stabilito che, con l’annullamento del matrimonio, vengono meno i presupposti affinchè uno dei coniugi continui a corrispondere all’altro l’importo stabilito a titolo di mantenimento deciso da un Giudice in sede di separazione.
L’annullamento del matrimonio(art 117 c.c.), a differenza del divorzio, cancella il vincolo coniugale come se non fosse mai esistiti.
E’ bene ricordare che per i matrimoni celebrati in Chiesa con rito cattolico e, poi, trascritti nei registri di Stato civile, sono competenti sia il Tribunale Ecclesiastico, sia il Tribunale Civile.
Pertanto, dopo l’annullamento del vincolo coniugale da parte del Tribunale della Sacra Rota, il Giudice, con un provvedimento detto “delibazione”, riconosce efficacia civile alla sentenza ecclesiastica.
Nel caso che la Cassazione si è trovata dinanzi, un uomo aveva chiesto la revoca del proprio obbligo di corrispondere mensilmente, alla ex moglie, 250 euro stabiliti in fase di separazione, dopo l’annullamento religioso e civile del matrimonio. Tale richiesta veniva accolta, inizialmente, dal Tribunale di Benevento, mentre veniva, successivamente, respinta dalla Corte di Appello di Napoli. I Giudici d’Appello, infatti, avevano ritenuto che la dichiarazione di nullità del matrimonio non potesse “determinare il venir meno del diritto alla percezione dell’assegno” obbligando, così, l’uomo a continuare a versare il mantenimento.
La decisione della Corte d’Appello veniva, in toto, ribaltata dai Giudici di Piazza Cavour i quali stabiliscono che una volta dichiarata l’invalidità ab origine del matrimonio religioso, viene meno il presupposto per il riconoscimento dell’assegno di mantenimento.
La separazione, infatti, è solo una “sospensione dei doveri di natura personale” (fedeltà, convivenza e collaborazione), mentre “gli aspetti di natura patrimoniale permangono“. I Giudici precisano che l’annullamento del vincolo coniugale da parte della Chiesa e, poi, in sede civile, fa venir meno il matrimonio’, conseguentemente non hanno più ragion d’essere le statuizioni economiche stabilite in sede di separazione.
In caso di assegno di divorzi, invece, la Corte di Cassazione ha stabilito “la permanenza” dell’assegno, anche a seguito di nullità del matrimonio. Ciò perché la spettanza di un diritto non può essere travolto da un altro giudizio. Infatti, nel decidere per l’assegno di divorzio, i Giudici sono chiamati a valutare la sussistenza di giustificati motivi:
- presenza di figli;
- o l’assenza di mezzi adeguati della persona economicamente più debole, impossibilitata a procurarseli.
In conclusione, la persistenza dell’assegno di divorzio, a seguito di nullità del vincolo coniugale, va riconosciuta come una forma di “solidarietà post coniugale”.
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